In vista una nuova condanna a 5 anni per violazione degli obblighi degli arresti domiciliari
L'avvocato dice che è preparata al peggio. La leader dell'opposizione birmana Aung San Suu Kyi birmana va incontro a una nuova condanna, fino a cinque anni di carcere, per aver violato i termini degli arresti domiciliari cui è stata sottoposta dal regime militare per 13 degli ultimi 19 anni, cioè da quando è rientrata in Birmania nel 1988 per salutare la madre morente. La sua colpa è aver ospitato nella sua casa assediata dalla polizia 24 ore su 24 un mormone americano, tale John William Yettaw, che il 3 maggio scorso era arrivato fin lì a nuoto attraversando il lago su cui si affaccia il giardino della casa.
L'uomo, che aveva già tentato l'impresa a novembre 2008, riuscendo a consegnare un libro di propaganda mormone ai domestici, pare fosse fin lì sfuggito a ogni intercettazione e questo desta più di un sospetto. Anche perché la sua "impresa" è intervenuta con eccezionale tempismo: Suu Kyi avrebbe finito il 27 maggio di scontare l''ultima condanna a sei anni se non fosse stata arrestata di nuovo per questa vicenda. E questo è impensabile, perché ci sono dei destini che sembrano segnati. Quello di Aung San Suu Kyi è di passare la vita incarcerata, malgrado l'impegno della comunità internazionale, gli appelli, gli striscioni e persino le canzoni scritte per lei.
Titolare di un premio Nobel per la pace, per il governo del Myanmar, meglio nota come Birmania, San Suu Kyi è colpevole di guidare l'opposizione a un regime che non l'ammette e di avere vinto nel 1990 delle elezioni che i militari avevano concesso pensando di addomesticarle e che invece videro trionfare la sua Lega Nazionale per la Democrazia. Quella volta sarebbe dovuta diventata Primo Ministro, ma i generali annullarono il voto, cancellando persino la finzione di democrazia mantenuta in piedi fino a quel momento e l'arrestarono.
Da allora è stata tenuta prigioniera con ogni possibile motivazione senza troppo curarsi che fosse o meno plausibile perché il regime birmano agisce in un clima di sostanziale impunità e sa bene che finiti i proclami e distribuiti i Nobel, i mercanti internazionali accorreranno ad acquistare pietre preziose, petrolio e legname pregiato, alla faccia di ogni embargo.
Aung San Suu Kyi non ha potuto lasciare il Paese nemmeno quando nel 1997 il marito si è ammalato del tumore che in due anni lo ha ucciso e il 30 maggio 2003 un agguato dei militari che le è quasi costato la vita e ha ucciso un bel po' di persone le ha fruttato un nuovo periodo di arresti domiciliari. Ora è in carcere, un carcere vero, birmano e la sua salute pare sia sempre più compromessa.
In Occidente Aung San Suu Kyi è un'icona: premio Nobel per la pace, insignita di lauree honoris causa, per il suo grande impegno civile e per la difesa dei diritti umani e della pace da università americane ed europee, Medaglia d''Onore del Congresso degli Stati Uniti. Tutto questo non la salva, pare, dalla galera nè salva il suo Paese da un destino che gli analisti e la stessa Lega nazionale per la democrazia hanno già previsto nei dettagli: messa una volta di più fuori gioco Aung San Suu Kyi sarà convocato un referendum per l''approvazione di un testo costituzionale che sancirà la continuazione del potere dei militari sotto forme civili, escludendo del tutto la Lega nazionale per la democrazia. Un referendum già vinto, con le buone o con le cattive. Perché molte dittature hanno imparato a orecchiare le forme della democrazia per dare una parvenza legittima ai loro soprusi e a seguire le forme: processi, elezioni, referendum, e pazienza se è tutto finto.
la Stampa
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